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STEFANIA VAGLIO | Roma
Donatrice

memories

Era il 20 novembre 1995 (Adisco si era costituita appena un mese prima..ma di questo non era al corrente e non ne è mai diventata socia...) quando Stefania Vaglio, medico presso il Centro Trasfusionale del Policlinico Umberto I, metteva alla luce il suo secondo figlio (Jacopo), con parto cesareo, ma accompagnato, vista la "caparbia" disponibilità del ginecologo e dello staff ostetrico, dal dono del sangue cordonale. "In quegli anni-racconta Stefania che ora dirige l'Unità Immunotrasfusionale del Policlinico Sant'Andrea a Roma, la raccolta era ancora in fase sperimentale, solo nel 1988 la Gluckman a Parigi aveva praticato il primo trapianto di staminali da sangue cordonale e da appena un paio d'anni era stata fondata a Milano la prima Banca di Raccolta, ma io , vivevo in prima persona , visitando e parlando con i pazienti del reparto di ematologia, quali importanti prospettive si stavano aprendo per chi non aveva via d'uscita dalla malattia. Ricordiamoci che la leucemia e tante altre malattie del sangue, ora considerate guaribili e tutto sommato affrontate con minore ansia da parte di medici e pazienti, all'epoca rientravano spesso nella categoria delle "incurabili" e le recidive più frequenti. Per me fu "semplicemente normale" aderire alla donazione, addirittura fui seguita dallo staff del Policlinico, ove si effettuava la raccolta e la tipizzazione, presso l'Ospedale dove andai a partorire ed operava il mio ginecologo, primo fautore della scelta. Non esisteva l'organizzazione che poi in questi 20 anni ha creato la rete di Banche e le convenzione con i centri parto, ma chi donava, incoraggiato dallo staff ostetrico, era animato dall'entusiasmo che accompagna la speranza in un progetto che poi si è dimostrato vitale per ridare speranza a tanti bambini e persone che non avevano alternative. Certamente, partivo da una posizione privilegiata, sia come medico, sia come specialista del settore, perchè le difficoltà nello spiegare alle mamme che si trattava di una procedura innocua anche per il bambino non era del tutto scontata, inoltre occorreva guadagnarsi anche la loro disponibilità a tornare dopo 6-12 mesi dal parto per validare, con la visita pediatrica (procedura tuttora attuata) la sacca raccolta. Anche adesso, dopo tanti anni di professione, sono testimone dei risultati ottenuti tramite questa opportunità terapeutica e conosco i volti e le storie di chi ha beneficiato di questo dono anonimo che, davvero, ritengo, laddove sia possibile praticare, una scelta naturale. Tuttavia penso che debba avvenire come completamento del percorso nascita, non "forzerei" le mamme a cambiare struttura per partorire dove si effettua la raccolta. Se le cose coincidono, ovvero se la sala parto ha i requisiti di idoneità e l'accreditamento per svolgere la procedura, è ovvio che si proponga di farlo, ma la donna ha bisogno innanzitutto di affidarsi alle cure dello specialista che l'ha seguita durante la gravidanza e credo sia proprio lui, insieme all'ostetrica a dover prospettare questa opportunità. Spesso mi domandano dell'opzione autologa, ma da medico che segue le evidenze scientifiche ritengo utile scoraggiare questa ipotesi di falsa "tutela" del proprio bambino. Se esistono i presupposti clinici per un trapianto autologo, i primi a consigliarlo sono gli specialisti ed esiste un programma specifico per assicurare la raccolta dedicata, senza alcun esborso economico e totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, in caso contrario, se la famiglia è sana e la gravidanza procede bene perchè negarsi questa ulteriore gioia di veder nascere un figlio e regalare un'opportunità a chi ne ha bisogno, sia una cura, sia un'ulteriore tappa della ricerca."